venerdì 27 giugno 2008

lunedì 23 giugno 2008

Assemblea nazionale Ecologisti Democratici

Il Giappone e l'energia solare

Ansa: 23 giugno

Giappone: piano incentivi solare nelle case

Il Governo vuole ridurre i gas serra del 60-80% entro il 2050

(ANSA) - TOKYO, 23 GIU - Il governo giapponese si prepara a varare un maxipiano di incentivi per l'utilizzo dell'energia solare nelle case. Lo annuncia il quotidiano Nikkei. Il piano prevede sgravi fiscali ai produttori e sconti sull'acquisto di apparecchiature pulite, misure che saranno inserite nella legge finanziaria del prossimo anno fiscale, che inizia il primo aprile 2009. Il Giappone intende ridurre del 60-80% l'emissione di gas serra nell'atmosfera entro il 2050.

mercoledì 11 giugno 2008

In marcia per il clima

In marcia per il clima. Sotto questo slogan, sabato scorso a Milano un vasto cartello di associazioni – da quelle ambientaliste, guidate da Legambiente, alle organizzazioni agricole, dai sindacati a Slow Food, dall’Arci alle Acli – si è ritrovato a Milano per una giornata di iniziative e manifestazioni, conclusa con un corteo da Piazza San Babila a Porta Venezia. Erano moltissimi, oltre 50 mila secondo gli organizzatori, e in un clima di festa hanno detto i loro “no” - al nucleare, al Ponte sullo Stretto -, ma soprattutto hanno provato a raccontare quel uturo migliore per cui quotidianamente si impegnano nei loro territori. Un futuro fatto di risparmio energetico e fonti rinnovabili per combattere l’aumento dell’effetto serra e affrontare i mutamenti climatici in atto, di solidarietà nei confronti dei popoli più poveri (erano tanti i volontari impegnati nelle organizzazioni non governative, a partire da quelli della Focsciv). Un futuro con più coesione e giustizia sociali.
Alla manifestazione ha aderito anche il Partito Democratico, e una delegazione degli Ecologisti Democratici ha partecipato al corteo. E’ auspicabile che questa adesione non resti solo un atto formale, ma sia la premessa di una rinnovata, più forte attenzione del Pd verso la grande questione dell’ambiente – centrale nel dibattito pubblico in gran parte del mondo e ripetutamente indicata da Walter Veltroni come un tema fondativi dell’identità democratica – e verso le persone in carne e ossa che ne fanno tutti i giorni la base di preziose esperienze di cittadinanza attiva, di una “buona politica”.
Non sappiamo quanti di coloro che hanno sfilato a Milano abbiano votato per il Pd, ma certo una gran parte di loro ci guarda con curiosità ed interesse. Una stessa curiosità, un analogo interesse deve mostrare il Pd nei loro confronti. Nelle cose che dicevano, che chiedevano non c’è alcun “massimalismo“, c’è invece una gran voglia di cambiare anche radicalmente modelli di consumo e stili di vita; c’è l’impegno sociale quotidiano di migliaia di italiani, di decine di associazioni che magari non “bucano” i media ma senza l’emergia e l’intelligenza dei quali è impensabile costruire un forte, maggioritario partito riformista. Non si tratta, com’è ovvio, di immaginare per questa o quella sigla ruoli improbabili e impropri da “fiancheggiatori”: la maggior parte delle organizzazioni presenti a Milano hanno fatto da tempo e per fortuna una scelta irreversibile di autonomia. Piuttosto occorre riconoscere a questi soggetti la piena dignità di interlocutori politici, e dunque confrontarsi con loro e ricavarne idee, suggestioni, passioni con cui nutrire una nostra credibile e convincente idea di futuro. Parlando di ambiente, questo incontro è facilitato dall’obiettiva vicinanza tra la piattaforma della manifestazione di sabato a Milano e il programma del Pd: contro i mutamenti climatici e contro il caro-petrolio, puntare su una politica energetica volitiva e innovativa, che invece di inseguire le sirene improbabili e incerte di un ritorno al nucleare promuova il risparmio energetico, l’efficienza, le fonti rinnovabili, forme diffuse di produzione di energia.
Ognuno deve fare la sua parte: il Partito Democratico impegnandosi in Parlamento e negli enti locali (specie dove siamo al governo) per concretizzare questa svolta, le associazioni sensibilizzando i cittadini e premendo sulla politica, su tutta la politica, perché l’Italia, in fatto di energia, entri finalmente nel XXI secolo.
Roberto Della Seta
Francesco Ferrante

giovedì 22 maggio 2008

Terra Futura

TERRA FUTURA
www.terrafutura.it
23-25 maggio Firenze

Articolo di Carlo Petrini

Una cultura da cambiare
Repubblica — 21 maggio 2008

Provate mai a immaginare questo nostro pianeta come un essere in grado di parlare e di dialogare con noi? A immaginare quel che vorrebbe dirci, se potesse comunicare a parole? Io ogni tanto ci provo, con risultati devastanti. Perché un conto è metaforizzare i cataclismi che sono davanti agli occhi di tutti noi (dall' uragano Katrina alla desertificazione delle foreste) come "risposte" della Terra ai comportamenti dell' uomo. Risposte allarmanti, ma che mantengono, nella loro straordinaria violenza, un segnale di energia, di presunta vendetta. Quando, invece, me la immagino che ci parla non riesco a non pensarla esausta, indebolita. Non immagino una voce stentorea che mi si rivolga con odio e rabbia, ma una voce stanca e affranta, che chiede una tregua, che chiede quando mai la finiremo, o per lo meno sospenderemo, di prendere, prendere, prendere. Si è molto parlato, nelle settimane pre-elettorali, dell' ambientalismo del fare. Io, a titolo di completezza, sarei per specificare "del far bene", nel senso che il fare, in sé, non mi pare un valore. Anzi, mi preoccupa un po' , come mi preoccupa quest' incondizionata passione che i politici, senza distinzione di appartenenza, hanno dichiarato nei confronti della crescita del Pil. Il Pil cresce anche producendo mine antiuomo, o imballaggi inutili che dovranno essere smaltiti (e anche questo fa crescere il Pil) o che, se smaltiti malamente, inquineranno acqua, aria, terra; e per bonificare, ammesso che sia possibile, si farà ancora crescere il Pil. Se invece si mettesse in campo un pizzico di saggezza, si potrebbe intraprendere la strada dell' economia del "non fare". Perché a volte è lì la chiave della ricchezza. Raffinerie, treni ad alta velocità e cementifici nelle vigne, sono ferite aperte nel cuore di territori che, in salute e bellezza, stanno producendo economia. Perché non lasciarli continuare? Perché disturbare? Bisogna stare attenti, perché la cultura del fare, se non ha filtri, diventa la cultura del rifare, del disfare, del fare troppo per poi sfasciare. È una cultura subdola, perché si spaccia per libertà, progresso, benessere. Pensate ai prodotti dietetici che vengono pubblicizzati in questi ultimi tempi. Pastiglie che impediscono all' organismo di assorbire calorie, mentre se ne ingurgitano a volontà. Non è una follia? Non è immorale? Per non ingrassare bisogna mangiare di meno e meglio e avere uno stile di vita corretto; la soluzione non può essere ingurgitare qualunque quantità di cibo per poi rendere il nostro organismo impermeabile alle calorie. È come tenere le nostre case a 25 gradi d' inverno per stare in salotto in maniche corte; è come usare abbondantemente la preziosa acqua potabile per lo sciacquone del water. Ecco dove ci ha portato la cultura del fare. A fare male, a fare troppo. A fare cose che ci costano tanti soldi, e per avere quei soldi dobbiamo lavorare di più, e per lavorare dobbiamo fare, fare, fare. Se mangio meno e meglio spendo meno e non ingrasso. Risparmio sia sul cibo che sulle pastiglie dimagranti. Posso destinare quei soldi diversamente, oppure decidere che non ne ho bisogno, quindi non ho necessità di guadagnarli, quindi ho qualche ora libera in più. Magari per curare un piccolo orto, o per giocare con i figli o per leggere il giornale, saltando le pubblicità delle pastiglie dimagranti. L' economia del "non fare", invece, ha le sue radici nella cultura dell' osservare. E del chiedersi: che bisogno ce n' è? L' economia del "non fare" ha uno sguardo lungo, non ragiona in termini di ritorni immediati: ha i tempi della natura, non quelli della finanza. Investe a lunghissimo termine e ha straordinari ritorni, perché è un' economia che non si occupa solo di denaro. Si occupa di culture, di identità, di territori, di origine, di storia e di storie; si occupa di paesaggio, di turismo, di conoscenza, di salute e di bellezza; si occupa di vigne, di imprenditoria, di mercato, di relazioni, di comunità, di coerenza. Siamo capaci di calcolare queste spese? Quanto costa una collina distrutta? Quanto costa un paesaggio devastato? Quanto costa un anziano che si immalinconisce perché il figlio non curerà più la vigna? Quanto costa l' orrore di un cartello che, in mezzo a colline vitate, avvisa che respirare può essere pericoloso? Quanto costa un bambino che cresce in mezzo alla bruttura? I crociati del fare insorgeranno: con la cultura del non fare non ci sarebbero nemmeno le vigne, diranno. Troppo facile esagerare. Troppo facile far finta di non capire che quando parliamo di economia del non fare stiamo parlando, semplicemente, di economia della cura. E la cura è una cosa seria, complessa e delicata. Che richiede sensibilità, competenza e dedizione. Perché non si può, mai, curare solo una parte. Ecco cosa ci chiede la Terra con la sua voce stanca: che ci si prenda cura di lei. Che la si smetta con gli interventi, le violenze, le conquiste. Che ci si metta in ascolto, per capire dove duole, cosa le fa male, cosa le fa bene. Deponiamo le armi del fare, smettiamo di considerarci padroni a casa d' altri. Cerchiamo di non disturbare, di non interrompere, di non sporcare. Ascoltiamola e prima o poi capiremo che la cura che serve a lei, è la stessa che serve a noi. Se non ci alleniamo in questo esercizio, gli unici messaggi che riusciremo a cogliere resteranno quelli delle catastrofi. E dopo ogni catastrofe i falsi crocerossini del fare si rimettono all' opera, mentre i curatori del far bene vedono allontanarsi il traguardo del benessere.
CARLO PETRINI